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La coraggiosa direttrice della rivista «Caixin» osa pubblicare analisi e commenti scomodi. Il governo la censura. Ma i casi di dissenso si stanno moltiplicandoLa coraggiosa direttrice della rivista «Caixin» osa pubblicare analisi e commenti scomodi. Il governo la censura. Ma i casi di dissenso si stanno moltiplicando.
In Cina c’è la censura sulla stampa e sul web, sempre più stretta, per ordine del presidente Xi Jinping. Ma non tutti sono d’accordo e non tutti si adeguano. I casi di dissenso si stanno moltiplicando. Caixin, rispettata rivista finanziaria, ha pubblicato questa settimana un’intervista con Jiang Hong, professore di Shanghai e membro della Conferenza consultiva del Popolo attualmente riunita a Pechino.
Bocca imbavagliata
Il professore ha detto che i consulenti come lui «dovrebbero essere liberi di dare al partito comunista e al governo suggerimenti su questioni economiche, politiche, culturali e sociali». L’articolo è stato subito cancellato dal web per il suo «contenuto illegale». Ma Caixin ha anche un’edizione in inglese e ha riproposto l’intervista parlando di nuovo con il consigliere che ha commentato: «Una circostanza terribile e sconcertante, ho esaminato l’articolo e non ci ho trovato niente di illegale». Il magazine ha aggiunto al servizio una foto di denuncia: una bocca imbavagliata. Il tutto è stato rapidamente oscurato dall’Amministrazione del cyberspazio cinese, definita nell’articolo «organo censorio del governo».
Il coraggio del blogger
Ora, però, il presidente Xi Jinping si trova ad affrontare un tentativo gigantesco di riequilibrio dell’economia cinese e ha deciso che la stampa deve «mostrare assoluta lealtà» al partito e al governo. Xi il 19 febbraio ha visitato in rapida successione la televisione nazionale “Cctv”, il Quotidiano del Popolo e la Xinhua, l’agenzia ufficiale. Il messaggio per tutti i redattori e direttori dei media statali è stato forte: «Adesione stretta ai valori del giornalismo marxista, guidare nel modo appropriato l’opinione pubblica, enfasi sulla pubblicità positiva, riflettere la volontà e il punto di vista del Partito». Il presidente e segretario generale comunista ha usato anche una frase vagamente poetica, una sua specialità: «Come le persone, i giornali hanno un nome, che è la loro testata, ma il cognome è sempre Partito». Non tutti hanno accettato in silenzio. Ren Zhiqiang, famoso blogger con 37 milioni di follower ha postato: «Quando i media sono leali in primo luogo al partito il popolo finisce in un angolo, abbandonato». L’Amministrazione del cyberspazio ha rimosso il post e cancellato Ren Zhiqiang dalla Rete. (La vicenda di Ren è stata raccontata anche dalCorrierehttp://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_29/guerra-xi-jinping-blogger-cannoniere-2292492c-df1e-11e5-8660-2dd950039afc.shtml). L’altro giorno un dipendente della Xinhua ha trovato il coraggio di lanciare sul web un commento in appoggio a Ren: «C’è uno stile da Rivoluzione Culturale…». Ma come dimostrano questi casi c’è anche un dissenso culturale.
Guido Santevecchi Corrispondente del Corriere della Sera Pechino,13/03/2016
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