Pechino conquista i granai del pianeta la Cina in cerca di ‘sicurezza alimentare’

Pubblichiamo un articolo di Federico Rampini, uscito nel giugno di quest’anno. Lettura interessante nel contesto dell’attuale crisi………
Repubblica — 29 giugno 2008 pagina 9 sezione: GENOVA…. La Cina va a caccia di grandi terreni agricoli da comprare in tutto il mondo, per garantire che potrà sfamare la sua popolazione anche in caso di iperinflazione e crisi dei raccolti. Spaziando dall’ America latina all’ Africa, dall’ Asia all’ Oceania, la nuova strategia cinese punta a risolvere uno dei più gravi problemi di lungo periodo: la sicurezza alimentare. All’ inizio del 2008 il presidente Hu Jintao e il premier Wen Jiabao hanno registrato con allarme i disordini scoppiati in molti paesi vicini (dalle Filippine all’ Indonesia) per la penuria di riso. Nella stessa Cina l’ inflazione dei generi alimentari tra il 2007 e il 2008 ha toccato punte massime massime che non si vedevano dagli anni Ottanta, con aumenti del 50% per la carne di maiale. Il carovita è al primo posto fra le preoccupazioni della popolazione e può far vacillare la stabilità del regime. La Repubblica Popolare non rischia certo quelle carestie di massa che la affliggevano ai tempi di Mao Zedong. Oggi è una superpotenza anche nell’ agricoltura. E’ il primo produttore mondiale di grano, riso, patate, prodotti ortofrutticoli. Ma i grandi numeri dei suoi raccolti non bastano a dare sicurezza, perché nascondono uno squilibrio progressivo rispetto alla domanda interna. I consumi dei cinesi esplodono, con il boom economico una quota crescente di famiglie può permettersi una dieta alimentare sempre più ricca. Nel 1985 i cinesi consumavano in media 20 chili di carne a testa in un anno. Nel 2000 il consumo di carne era balzato a 50 kg di carne pro capite. Nel 2020 secondo la Fao i cinesi mangeranno più di 73 chili di carne a testa. L’ allevamento del bestiame a sua volta assorbe una quantità sempre maggiore di cereali. In molte “materie prime” agricole - dal grano al riso - la Cina ha smesso di esportare perché i suoi raccolti nazionali, per quanto abbondanti, vengono tutti assorbiti dal mercato interno. E spesso non bastano più; per la soya è diventata così dipendente dall’ estero che importa già il 60% del suo fabbisogno. Nel lungo termine non può farcela da sola. Entro le frontiere della Repubblica Popolare vive oggi il 21% della popolazione mondiale ma la sua agricoltura ha solo il 9% delle terre arabili del pianeta. La scarsità di superficie coltivabile nasconde un altro vincolo, perfino più drammatico: la mancanza di acqua. La Cina ha solo l’ 8% delle riserve di acqua potabile del pianeta; un terzo della superficie nazionale è fatta di deserti che avanzano di anno in anno. Di qui il piano per partire alla conquista dei “granai del pianeta”. E’ una direttiva preparata nel 2008 dal ministero dell’ Agricoltura: con questa strategia Pechino spinge le grandi società agroalimentari cinesi a investire nell’ acquisizione di superfici coltivabili in tutto il mondo. Potranno contare sul sostegno finanziario e diplomatico dello Stato per superare le resistenze dei governi stranieri e accaparrarsi terreni agricoli. Per le maxiacquisizioni di terre la Cina si proietta su tutti i continenti, gli obiettivi potenziali da comprare sono tanti. In Brasile e Argentina coltivazioni di soya, zucchero, mais. In Nigeria miglio, semi e arachidi da olio. In Indonesia e Malesia colture di riso, foreste per il legname, piantagioni di palme da olio per i biocarburanti. Australia e Nuova Zelanda interessano per gli allevamenti di bestiame e la produzione di latte, anche se sono i due paesi più ricchi e dove quindi le terre non sono necessariamente a buon mercato. Gli uffici commerciali delle ambasciate cinesi all’ estero hanno mappe dettagliate dei raccolti più importanti per ogni paese. Dal Messico all’ Uganda alla Birmania, la Cina è pronta a subentrare ai latifondisti pubblici e privati del posto. (~) La decisione cinese è stata accelerata dagli eventi del 2008, quando India Tailandia e Vietnam hanno imposto il contingentamento delle loro esportazioni di riso. Il gesto ha suscitato allarme a Pechino. Significa che alla Cina non basta avere il più grosso attivo commerciale del pianeta per “fare la spesa all’ estero” in caso di bisogno; non può dare per scontato il libero accesso ai mercati mondiali; in una crisi l’ offerta di alimenti può prosciugarsi all’ improvviso. L’ altro fenomeno che preoccupa i leader cinesi è la finanziarizzazione dei mercati agricoli. Gli hedge fund sono entrati in forze nella speculazione sui futures dei raccolti. Alla Borsa specializzata di questo settore, il Chicago Stock Exchange, i contratti futures sulla soya sono raddoppiati fra il 2007 e il 2008. (~) Di recente i futures agricoli sono diventati investimenti altamente speculativi. La finanza scommette sugli scenari di aumenti dei consumi mondiali, e attraverso il gioco sui futures le previsioni al 2020 fanno schizzare al rialzo i prezzi del 2008. La “bolla” delle anticipazioni è un meccanismo infernale dal quale la Cina vuole riuscire a ripararsi, mettendo al sicuro dalla spirale speculativa i raccolti dei prossimi anni. Il modo migliore è allungare le mani su nuove terre in America latina, nel sudest asiatico, in Africa, diversificando le produzioni e l’ esposizione ai rischi climatici. Il principale ostacolo da superare sono le resistenze politiche dei governi stranieri su un tema strategico come l’ autosufficienza alimentare. Tanto più che Pechino ha un’ abitudine non molto gradita dai paesi che ospitano i suoi investimenti: nelle sue aziende all’ estero spesso preferisce impiegare manodopera cinese. Poiché nelle sue campagne la Repubblica Popolare ha ancora 700 milioni di contadini (il 40% di tutti i contadini del pianeta) l’ acquisto di terre coltivabili in America latina o in Africa può diventare uno sbocco per una nuova forma di emigrazione, l’ esportazione di “coloni” cinesi per aumentare i raccolti di zucchero in Brasile o di arachidi in Nigeria. Ma per superare le resistenze politiche Pechino ha argomenti persuasivi. Il modello sono le decine di accordi di lungo termine firmati con i paesi africani nei settori del petrolio, dei metalli e minerali rari. I cinesi costruiscono in Africa strade, ferrovie, aeroporti, ospedali; in cambio i giacimenti del sottosuolo sono ipotecati per molti anni e andranno ad alimentare l’ industria di trasformazione a Shanghai e Canton. è il patto che la Cina propone a molte nazioni emergenti per avere le loro materie prime. Poche possono permettersi di rifiutare l’ offerta. - FEDERICO RAMPINI

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