Pirelli, a rischio un marchio del made in Italy con l’arrivo di un’Opa cinese

La società non commenta i rumors di Borsa, ma con una offerta finalizzata al delisting della società è possibile che il controllo del gruppo finisca in mani straniere. A Marco Tronchetti Provera resterebbe una piccola quota e la guida per i prossimi anni

MILANO - Il mercato ci crede, ma la società tace. Da giorni si parla di un possibile ingresso di nuovi soci nel capitale della Pirelli, guidata oggi da un patto di sindacato di cui fanno parte oltre al leader Marco Tronchetti Provera, i russi della Rosneft, le banche Unicredit e Intesa, la famiglia Rovati e Diaz Sigieri. Le difficoltà del colosso russo, legato al calo del rublo e alle tensioni con il Cremlino, hanno spinto le speculazioni su una sua possibile sostituzione nella compagine di controllo. Al suo posto, interamente o in parte, potrebbero entrare gruppi cinesi o giapponesi, interessati al marchio della Bicocca. In prima fila sono i cinesi della China Chemical, che sembrano aver battuto la concorrenza della Yokoama e della Zhongce Rubber Company.

Sembra imminente l’annuncio di un’offerta pubblica di acquisto (Opa) sull’intera Pirelli. Se così fosse, il rischio è che il celebre marchio degli pneumatici possa finire in mani estere. Difficilmente, infatti, nel caso di lancio di un’Opa, Tronchetti Provera avrebbe la forza finanziaria per mantenere il controllo azionario della società. Anche se dovesse conservare la guida del gruppo per i prossimi tre/cinque anni, più che il quarto riassetto in cinque anni, l’operazione in corso sarebbe la definitiva cessione del gruppo a un investitore estero.

La Consob non ha chiesto chiarimenti se non in tarda serata, nonostante iltitolo in Borsa sia stato oggetto di speculazione per l’intera giornata e un precedente imbarazzante, proprio sulla holding di controllo Camfin, quando furono liquidati i precedenti soci di Tronchetti, la famiglia Malacalza (leggi l’articolo).

“No comment”, hanno detto i soci riuniti nella holding Camfin (Nuove partecipazioni, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Rosneft) che detiene il 26% circa del gruppo degli pneumatici. Per loro il delisting della società, che vale oltre7,2 miliardi dopo il recente rialzo, non costerebbe meno di 5,4 miliardi. Un investimento che non è alla portata di nessuno degli attuali azionisti. Chi metterà i soldi, si porterà a casa uno dei più prestigiosi marchi del made in Italy e del settore degli pneumatici.

Repubblica.it,19/03/2015

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