PRATO: inchiesta ditte fantasma cinesi, accuse incrociate tra arrestati

Due sorelle cinesi smentiscono la versione del commercialista italiano «Non è vero che si limitava a trasmettere gli atti preparati dal nostro studio». Si è incrinato il fronte degli arrestati nell’inchiesta sulla creazione di ditte fantasma per l’ottenimento dei permessi di soggiorno che la scorsa settimana ha portato all’arresto di quattro professionisti italiani e di tre cinesi.


Le due sorelle cinesi Hu Jiejie, detta Jessica, e Hu Weijie, detta Sara, sono state interrogate dal giudice per le indagini preliminari e hanno smentito la versione fornita dal commercialista Giuseppe Cannatà. Quest’ultimo si era difeso dicendo di essersi limitato a presentare le dichiarazioni fiscali di decine di clienti cinesi così come gli erano state trasmesse dal Centro elaborazione dati Lx delle sorelle Hu. Le due sorelle, una in particolare, fanno invece ricadere sul commercialista l’attività di tenuta della contabilità che secondo i sostituti procuratori Lorenzo Boscagli e Lorenzo Gestri era sostanzialmente fasulla e ha consentito a un esercito di cinesi di ottenere o rinnovare il permesso di soggiorno.

Ma il rilascio dei permessi è solo una parte dell’inchiesta e non la più importante. Quella più importante è la creazione di ditte fantasma che poi servono per le assunzioni fittizie. Per quasi tutte le società serve l’intervento del notaio, ma per le ditte individuali, la forma preferita dagli imprenditori cinesi, basta un professionista (commercialista o consulente del lavoro) che però dovrebbe verificare l’identità del titolare della ditta e garantire che sia proprio lui a capo dell’azienda.

Ecco, questo filtro in molti casi è saltato e ha dato origine a un distretto parallelo dove non si sa mai chi sia veramente il padrone della baracca. In altre parole, i professionisti coinvolti nell’inchiesta sono accusati di aver abdicato, in cambio di denaro, al proprio ruolo di controllori.

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