Quando il made in Italy batte il drago cinese

«Qui in Ruanda non puoi prendere in mano un machete senza che abbia stampigliata la sigla made in Prc o made in China». L’aneddoto che raccontava una decina d’anni fa Marco Perini, allora responsabile di Avsi – una Ong italiana – in quel Paese africano, fotografava perfettamente il livello di penetrazione commerciale raggiunto dalla Cina nel continente: dalle commodities agli utensili fino ai grandi impianti industriali e alle infrastrutture.

La Repubblica popolare in crescita esponenziale da un lato si accreditava sempre più come terzo polo geopolitico mondiale, dall’altro otteneva materie prime essenziali per i fabbisogni interni, in cambio di investimenti consistenti nei Paesi in via di sviluppo. Per le aziende italiane competere sembrava quasi impossibile: troppa la potenza di fuoco commerciale messa in campo da Pechino, troppo il divario di costi Così, commesse e contratti – eccezion fatta per alcuni grandi gruppi– per le Pmi erano perlopiù exploit estemporanei o il frutto di missioni governative e confindustriali ben congeniate.

Nel frattempo, però, l’Africa ha preso a correre e parallelamente sono aumentate anche le azioni di sistema del made in Italy oltre confine. E quella che sembrava una partita impari “rischia” di non avere più un esito scontato. Merito di rapporti via via più consolidati e, soprattutto, merito della tenacia di buona parte del manifatturiero nostrano nel puntare su innovazione e tecnologia – in due parole: alta qualità – non essendo pensabile giocarsela sul piano dei costi. Emblematica l’affermazione del manager di una holdig del Malawi durante gli incontri B2B di questi giorni a Milano: «Ci serve tecnologia per diventare efficienti. E vogliamo quella europea perché la Cina costruisce ma non porta sviluppo».

Ok, forse sarà un po’ forzata come affermazione, forse non sarà sempre così, ma il made in Italy c’è, e sta dimostrando di essere pronto a cogliere queste occasioni competitive. Come la micro azienda romagnola chiamata a sostituire gli impianti di refrigerazione installati dai cinesi alcuni anni fa. (c. a. f.)

Il Sole 24ore,20/09/2015

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