Regime cinese vieta ai giornalisti di citare stampa estera. I cittadini non devono sapere

Pechino ha rafforzato la sua presa sui media con una nuova direttiva che vieta l’uso di informazioni provenienti da notizie straniere prese «senza permesso».L’Amministrazione generale di Stampa, Pubblicazione, Radio, Film e Televisione, l’ufficio incaricato di regolamentare i media, ha annunciato questa mossa mercoledì. L’ufficio ha sostenuto di voler «rafforzare l’amministrazione» e fermare la «diffusione di informazioni dannose». Il divieto si applica anche a liberi professionisti, Ong e organizzazioni commerciali.

La mossa ha coinciso con la notizia che il New York Times aveva appena vinto il Premio Pulitzer per il suo articolo di ottobre 2012 riguardante la ricchezza nascosta dell’ex premier Wen Jiabao e della sua famiglia.

Il gruppo per la libertà di stampa Reporters senza frontiere (Rsf) ha condannato la sentenza come «draconiana», dicendo che la censura del Partito comunista è stata in costante aumento sin dal suo 18° Congresso dello scorso novembre, quando è stata selezionata la nuova leadership.

«I censori hanno preso di mira i media stranieri da quando hanno pubblicato rivelazioni imbarazzanti sui leader cinesi», dice il rapporto. «Il regime sta cercando di evitare che i media cinesi ripetano tali rivelazioni».

Il rapporto ha aggiunto che i media stranieri hanno un ruolo determinante nell’informare la comunità internazionale sugli eventi in Cina, così come il pubblico cinese, che lo ha descritto come «la vittima della crescente censura del Governo sui media locali».

Tuttavia, il fiorente utilizzo di internet in Cina, ad esempio attraverso il microblog Sina Weibo, rende praticamente impossibile la censura.

«L’iniziativa sembra destinata a fallire nell’era di Weibo e dei social network, dove le informazioni e le rivelazioni da parte dei media stranieri circolano a macchia d’olio», dice il rapporto Rsf. «Ma potrebbe essere usata per giustificare nuovi atti di censura e potrebbe pertanto avere un impatto sui media cinesi, che spesso citano in particolare i rapporti delle agenzie di stampa».

Il giornalista di Pechino Gao Yu, due volte vincitore del premio Coraggio nel giornalismo ed ex vice direttore di Economics Weekly, ha detto a Sound of Hope Radio Network che internet ha infranto le restrizioni censorie del Partito e la mossa è un’ulteriore prova della crisi nella burocrazia.

«Le notizie sugli scandali dei funzionari comunisti, dei disastri naturali e minerari possono essere diffuse in tutto il mondo in pochi minuti o secondi», ha detto Gao. «Per anni il lavaggio di cervello della propaganda dei media cinesi ha distrutto la moralità del popolo cinese. Con lo sviluppo di internet, la propaganda del lavaggio di cervello non può più essere sostenuta», ha aggiunto. «Questa è la crisi del regime cinese, ed è per questo che stanno intensificando il controllo».

Il divieto potrebbe avere un grande impatto sui giornali nazionali, considerato che agenzie internazionali come Reuters forniscono la maggior parte della loro copertura straniera. I blogger hanno reagito con forza, in particolare i giornalisti. Un giornalista di Pechino citato dal sito web di Global Voices, ha detto sul suo account Weibo: «La vigilanza dell’opinione pubblica è essenziale per una società sana. La scala di critica è la scala della democrazia, se la critica non è libera, allora la lode è priva di significato. La conclusione corretta proviene da una vasta gamma di voci, rispetto a quanto venga scelto dall’autorità».

Un altro utente di Weibo ha aggiunto: «Che cosa è l’informazione dannosa? Penso che ci siano solo informazioni vere e false. Lo scopo delle notizie è quello di diffondere la verità, che è la necessità fondamentale di una società. La maggior parte delle informazioni dannose, così come sono state definite dal dipartimento di propaganda in tutta la storia della Repubblica cinese si sono rivelate esatte. Bloccare le informazioni e le opinioni può essere efficace temporaneamente, ma una tale politica di abnegazione non funziona nel lungo periodo».

Fonte: Epoch Times Italia, 20 aprile 2013

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