Scuoiati vivi per la pelliccia: così in Cina si uccidono i cani-procione (video)

L’investigazione degli attivisti di Animal Equality che denunciano: «Queste pelli sono usate anche nei capi di abbigliamento venduti in Italia».


Per ottenere la pelliccia si usano due barre metalliche: una viene inserita nella bocca dell’animale, l’altra nell’ano. Poi le barre vengono collegate a una batteria per automobili. Le scariche elettriche paralizzano gli animali, ma non li uccidono. A questo punto vengono scuoiati vivi. Lo scopo è quello di mantenere il pelo più intatto possibile.

Così in Cina vengono prodotte le pellicce che potrebbero adornare anche i giacconi acquistati in Italia. Una pratica testimoniata dall’investigazione condotta nella regione dello Shandong dagli attivisti di Animal Equality che hanno filmato le condizioni di vita delle volpi e dei cani-procione negli allevamenti della zona. L’obiettivo dell’investigazione (diffusa da Corriere.it) è quello di lanciare una campagna di sensibilizzazione verso chi acquista (a volte inconsapevolmente) queste pellicce, ma anche verso le case di moda che le usano.

«Queste pellicce vengono mandate nei paesi di tutto il mondo – spiega Matteo Cupi, presidente di Animal Equality - Si possono trovare sui capi disponibili in tantissimi negozi d’abbigliamento. Le persone non sono nemmeno a conoscenza che parte di questi vestiti sono fatti con cani procioni, animali strettamente imparentati ai cani domestici».

Tre settimane di registrazioni
Gli investigatori di Animal Equality hanno trascorso tre settimane osservando come i cani procioni e le volpi vengono trattati negli allevamenti. «Presentandosi come possibili acquirenti hanno avuto il permesso di filmare senza limitazioni», spiegano dall’organizzazione. Quello che hanno scoperto è testimoniato nel video: gli animali vengono ammassati in gabbie piccolissime, dove riescono a malapena a muoversi. Quelli feriti vengono lasciati morire senza cure. Lo stress e la sofferenza li porta ad ammalarsi, non solo fisicamente. Molti manifestano gravi problemi mentali, arrivano addirittura a mangiarsi tra di loro a causa del sovraffollamento.

«Queste pelli arrivano anche in Italia»
Dietro ogni pelliccia c’è ovviamente la morte di molti animali. In questo caso l’aggravante è data dalle condizioni in cui i cani procioni e le volpi vengono allevati ed uccisi. E dal fatto che nessun consumatore può avere la certezza al 100% di non acquistare un capo con un animale proveniente da questi allevamenti. «Sono molte le aziende che commercializzano anche in Italia capi di abbigliamento aventi inseriti realizzati con queste pellicce provenienti dalla Cina – dicono da Animal Equality - Leggendo le etichette è però difficile capirlo. Anche se i cani procione sono canidi, proprio come i cani domestici, le normative prevedono di poterli etichettare come “procione asiatico”, “procione” o “murmasky” che di fatto non corrispondono neanche a esatti nomi scientifici, senza necessariamente specificarne la provenienza, per cui i consumatori sono generalmente ignari del fatto che stanno acquistando pelliccia di canidi».

Il mercato della pelliccia
La Cina è il maggior esportatore di pellicce al mondo. Il 95% della produzione va all’estero, l’ 80% parte da Hong Kong per essere smistata in Europa. Tra il 25% e il 30% degli animali sono catturati in natura mentre il restante proviene da allevamenti ad hoc nati per lo più a partire dagli anni ‘90. Gli animali vengono spesso uccisi nei pressi dei mercati all’ingrosso, sul posto, come documentato anche le investigazioni diffuse. Secondo i dati diffusi da Animal Equality sono circa un milione e mezzo i cani (e altrettante le volpi) uccisi in Cina ogni anno per l’industria della pelliccia. Solo nella regione di Shandong si stima che vengano uccisi 1 milione di animali tra volpi e cani-procione. «Per fermare tutto questo lanceremo una campagna e una petizione attraverso il sito BastaModaCrudele.org – sottolinano gli attivisti - indirizzata ai maggiori stilisti e alle aziende coinvolte per esortarli a prendere una posizione chiara su questi fatti e a considerare di cessare la vendita di capi in pelliccia».


Beatrice Montini, Corriere della Sera, 18/11/14

Condividi:

Stampa questo articolo Stampa questo articolo
Condizioni di utilizzo - Terms of use
Potete liberamente stampare e far circolare tutti gli articoli pubblicati su LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, ma per favore citate la fonte.
Feel free to copy and share all article on LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, but please quote the source.
Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Internazionale.