TTIP, proteste in piazza: cosa accadrà al nostro settore agroalimentare con l’ok definitivo?
TTIP: il trattato commerciale transatlantico tra Unione Europea e Stati Uniti che sta facendo discutere l’Europa potrebbe essere approvato definitivamente entro l’anno dal Parlamento di Strasburgo, a valle di negoziati che vanno avanti dal 2013.
Ma le associazioni insorgono, tanto che il 7 maggio sono scese in piazza con una manifestazione della campagna Stop TTIP per chiedere il no alla firma, anche a seguito dei documenti pubblicati recentemente da Greenpeace Olanda che dimostrerebbero come gli Usa faccianopressioni perché l’Ue rinunci a molte delle sue regolamentazioni nel settore alimentare.
Gli Usa premono in particolare perché rinunciamo a molti dei nostri vincoli che attualmente vietano l’uso di diversi pesticidi, la coltivazione degli OGM, l’uso degli ormoni per la crescita negli allevamenti e molto altro.
Cosa accadrà dunque al nostro settore agroalimentare se all’accordo commerciale sarà dato il via libera? L’abbiamo chiesto ad associazioni ed esperti.
Vincenzo Vizioli, Presidente Associazione Italiana Agricoltura Biologica:
Chiediamo a Renzi di seguire l’esempio francese e di tirare il freno a mano sul TTIP. Un accordo che, se passasse, significherebbe non solo la fine della nostra qualità agroalimentare, fiore all’occhiello delle nostre esportazioni, ma anche una retromarcia totale su tutti i risultati fin qui ottenuti, a partire dal divieto di coltivare OGM, che tanto faticosamente abbiamo conquistato.
In Italia, nonostante qualche truffa, per fortuna rara, e di cui comunque si fa poi un gran parlare, i controlli funzionano proprio perché esiste una grande attenzione a questi argomenti, e perché deve essere garantito il principio di precauzione e la salute dei cittadini.
Il TTIP introdurrebbe una filosofia di speculazione, deregulation e mancanza di controlli da cui poi sarebbe molto difficile tornare indietro. Chiediamo al governo: “Vogliamo davvero metterea repentaglio una serie di diritti inalienabili sanciti formalmente nelle convenzioni europee e internazionali, offrendo in pasto alle multinazionale la nostra salute? Vogliamo davvero trasformare i cittadini in consumatori inconsapevoli? Renzi vuole davvero prendersi questa responsabilità?”.
Federica Ferrario, Responsabile Campagna Agricoltura Greenpeace:
L’accordo, se dovesse andare avanti così come abbiamo potuto vedere dai documenti trapelati, di certo sarebbe un autogoal, anzi, per dirla in termini agricoli, una “zappata sui piedi” per l’agricoltura italiana. Per l’Europa in generale, ma per l’Italia in particolare visto quanto il nostro made in Italy viene apprezzato e valorizzato.
Sono a rischio tutte le normative di tutela di consumatore e ambiente. Faccio esempi precisi: gli OGM, che in Italia fortunatamente ora è vietato coltivare, con questo accordo rischiamo che tornino sul mercato europeo, anche senza etichettatura, a causa delle continue pressioni statunitensi. Mi riferisco in particolare a tutte le tecniche biotecnologiche che negli Usa stanno cercando di far passare senza alcuna regolamentazione, cercando di far credere che i prodotti non siano OGM.
Ricordiamo che nel nostro Paese gli OGM permessi sono quelli nei mangimi degli animali, che sono un problema, ma, proprio per l’etichettatura, di fatto nei supermercati non ci sono perché la gente non li vuole.
Pensiamo anche ai residui di sostanze chimiche nel cibo. In Europa ci sono ormai da anni almeno un ottantina di pesticidi vietati che negli Usa vengono invece utilizzati. Così negli allevamenti: negli Usa sono molto più intensivi e invasivi rispetto a quelli europei.
Non che in Europa siamo il meglio del meglio, ma negli Usa vengono ancora utilizzati gli ormoni per la crescita, che nel nostro continente sono vietati e i polli vengono ancora sottoposti ailavaggi al cloro per abbassare la carica batterica.
La differenza è proprio nell’abc delle regolamentazioni che, mentre in Europa si basano sulprincipio di precauzione, negli Stati Uniti seguono una regola differente, ovvero “iniziamo a commercializzare senza fornire alcun onere della prova, poi se qualcuno porta delle dimostrazioni scientifiche che dimostrano dei problemi, vediamo come gestire il rischio”.
In Europa avviene l’esatto contrario: con il principio di precauzione, prima di poter commercializzare una sostanza, con tutti i limiti del caso (nessun sistema è perfetto), bisogna dimostrare che non costituisca un rischio per le persone e per l’ambiente. Gli approcci sono sostanzialmente opposti.
Agostino Di Ciaula, Comitato Scientifico Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE) Italia:
I rischi maggiori sono legati al completo stravolgimento delle norme europee sull’utilizzo di pesticidi (compreso il glifosato, strettamente legato all’uso degli OGM) ed altri prodotti chimici (es. coloranti, additivi, conservanti etc.).
Le distorsioni legate allo sfruttamento industriale intensivo dell’agricoltura, tipiche dell’agricoltura americana, hanno conseguenze sanitarie soprattutto in termini di malattie croniche, degenerative e tumorali, anche in età pediatrica.
Importare quel modello significherebbe aumentare i rischi e annullare gli sforzi orientati alla sostenibilità e alla salubrità degli alimenti che molti (soprattutto le imprese di coltivazioni biologiche) stanno con fatica portando avanti.
A differenza degli USA, già dal 1999 la UE ha iniziato a sviluppare una strategia legislativa per regolamentare una serie di sostanze chimiche nocive per l’ambiente e per la salute (principalmente interferenti endocrini), che si è concretizzata in alcune fondamentali direttive: la ‘water framework directive’ (2000), il ‘regolamento Reach’ (2006), il ‘cosmetics Regulation’ (2009), il Pppr (Plant Pretection Products Regulation, 2009), il Bpr (Biocidal Products Regulation, 2012).
Negli USA, invece, al momento la EPA (Environmental Protection Agency) non ha ancora pubblicato alcuna lista di interferenti endocrini secondo loro “confermati”, nonostante le migliaia di evidenze scientifiche a disposizione che certificano inequivocabilmente i gravi ed irreversibili rischi sanitari di queste sostanze.
Per l’EPA, come è possibile leggere sul suo sito, “essere un interferente endocrino non comporta l’essere immediatamente bandito o limitato negli Stati Uniti”, e il principio di precauzione è completamente ignorato.
Il solo regolamento Reach impedisce al momento in Europa la commercializzazione di oltre mille e 300 additivi chimici e vieta oltre 80 pesticidi, molti dei quali legali negli USA. L’atrazina, ad esempio, uno dei pesticidi più nocivi in assoluto, è stato bandito in Europa nel 2004 (nel 1991 in Italia) ed è ancora uno dei pesticidi più utilizzati negli USA. Stessa cosa per il paraquat, associato a numerose patologie (soprattutto Parkinson), bandito in UE e persino in Cina ma non in USA.
Il via libera al TTIP rappresenterebbe per gli Europei non solo l’arresto di un percorso ancora in atto finalizzato a limitare ulteriormente i rischi derivanti dall’ingresso di sostanze chimiche nocive in prodotti agroalimentari, ma addirittura un salto indietro nel tempo di quasi vent’anni, conconseguenze ambientali e sanitarie al momento incalcolabili, anche in termini di crescita progressiva di spesa sanitaria.
Vogliamo veramente tutto questo?
Il report sul 12esimo tavolo di negoziazioni è disponibile a questo link.
GrennBiz, 09/05/2016
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