U Gambira, il monaco della Rivoluzione di Zafferano: “Il colpo di Stato in Myanmar per fare affari con la Cina”

BANGKOK. In Myanmar, ma anche all’estero il nome di U Gambira non è facile da dimenticare. Ex bambino-soldato costretto a combattere per i militari birmani ed ex monaco buddhista, fu la guida politica e religiosa della cosiddetta Rivoluzione di Zafferano che nel 2007 mise per la prima volta seriamente in crisi il regime dei generali. Oggi 42enne vive con sua moglie Marie in Australia dove lo abbiamo raggiunto al telefono.

in foto il monaco della Rivoluzione dello Zafferano U Gambira

Lei vive da anni all’estero, ma è rimasto in contatto con la sua famiglia, i suoi ex compagni monaci e altri birmani. Qual è la sua opinione su questo colpo di Stato in Myanmar?

“Il comandante delle forze armate Min Aung Hlaing, gli ex generali e il loro partito USDP temevano di perdere i loro affari. Dopo le elezioni dell’8 novembre 2020 vinte dalla Lega per la democrazia di Aung San Suu Kyi c’erano in ballo enormi interessi di denaro e potere. Hanno pianificato il colpo di Stato militare per riprendere pieno controllo del paese perché i militari vogliono avere una completa influenza geopolitica nella regione, dalle risorse naturali alle strade e i porti marittimi che interessano alla Cina per contrastare la crescente presenza degli Stati Uniti nel Mare Cinese meridionale, nell’Oceano indiano e nel mare delle Andamane. Con un governo della Lnd Pechino avrebbe incontrato molte più difficoltà a sfruttare la terra, le coste e i beni del Myanmar come miniere e gas naturale, perché la maggior parte dei birmani si rifiuterebbe di far approvare i loro progetti”.

Molti sostengono che la frode elettorale sia stata solo una scusa per il golpe. Che lei sappia c’è stata una spaccatura con Lady Suu Kyi a causa della costituzione militare del 2008 e delle relazioni con la Cina?

“Dopo la clamorosa vittoria della Lnd Min Aung Hlaing ha chiesto a Suu Kyi di incontrarlo e lei ha accettato. In quell’occasione il generale ha fatto 5 richieste. 1) Voleva essere presidente. 2) Non voleva ritirarsi come generale dell’esercito anche quando a luglio avrebbe raggiunto il limite di età dei 65 anni. 3) Chiedeva di smantellare l’UEC (la Commissione elettorale). 4) Intendeva imporre un riconteggio di tutti i voti alla presenza di rappresentanti militari. 5) Proponeva di posticipare l’inaugurazione del nuovo Parlamento. Ma Daw Suu Kyi ha respinto tutte le sue richieste”.

Contro il generale Aung Hlaing è in corso un processo presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aia per il genocidio degli islamici Rohingya nel 2017. Può essere stato questo un altro motivo di tensione tra lui e l’Occidente?

“Personalmente, non credo che il caso dei Rohingya abbia influenzato la sua decisione. L’intero processo e le eventuali condanne potrebbero richiedere molti anni”.

Oltre a Suu Kyi e al presidente U Win Myint sono state arrestate centinaia di persone. Sa se tra loro ci sono suoi amici e conoscenti?

“Sì, alcuni dei miei ex colleghi monaci sono stati imprigionati. Tra loro Bamaw

Sayardaw U Kumara (Presidente del Consiglio statale del Sangha, la comunità buddhista), Shwe Nya War Sayardaw, Myawaddy Min Gyi Sayardaw, U Sobita e altri decisamente contrari a ogni dittatura e discriminazione su base etnica e religiosa”.

Secondo alcune fonti, con la recente amnistia concessa dai generali a 23mila detenuti sarebbe invece stato liberato anche U Wirathu, il monaco celebre per le sue posizioni anti-islamiche e filo-militari. Si era consegnato proprio alla vigilia del voto di novembre dopo un anno di latitanza per aver promosso “odio” e “sedizione” contro il governo della Lnd.

“No, Wirathu non è ancora stato rilasciato ed è in attesa di processo. Attualmente si trova ancora nella prigione di Insein, mentre quasi tutti i prigionieri rilasciati erano semplici criminali, non detenuti politici”.

Aung San Suu Kyi molto prima del colpo di Stato era diventata impopolare in tutto il mondo proprio a causa della sua difesa dei militari nella persecuzione contro i Rohingya. Meritava le critiche di essere scesa a troppi compromessi con l’esercito o è stata solo una vittima?

“Voleva ottenere la riconciliazione tra l’esercito, le guerriglie etniche e il popolo birmano (la razza di maggioranza nell’Unione del Myanmar, ndr). Ma purtroppo ha concesso troppo ai militari, li ha difesi e ha incoraggiato la gente a perdonare le loro violazioni dei diritti umani. I generali sono ingannatori e l’hanno utilizzata per i loro giochi politici. Uno dei suoi più grandi errori è stato quello di rifiutare il coinvolgimento di attivisti veterani della lotta alla dittatura nel processo di transizione democratica del paese”.

La questione dei Rohingya sembra dimostrare che c’era una diffusa islamofobia anche tra molti monaci come lo stesso U Wirathu. So che lei ha combattuto questa tendenza quando era ancora in Birmania e anche dopo. Cosa c’è di vero?

“L’Islamofobia era diffusa tra certe organizzazioni di monaci, tuttavia la maggior parte del clero birmano non la sosteneva, anzi. Wirathu e i suoi seguaci erano chiaramente sponsorizzati dai militari, quindi disponevano di molti soldi per promuovere messaggi di odio verso i musulmani. Sfortunatamente, molti media mostrano solo questo aspetto, e la gente oggi crede che tale opinione sia diffusa tra la maggior parte dei religiosi buddhisti. Ma non è così”.

L’Islamofobia era diffusa tra certe organizzazioni di monaci, tuttavia la maggior parte del clero birmano non la sosteneva, anzi. Wirathu e i suoi seguaci erano chiaramente sponsorizzati dai militari, quindi disponevano di molti soldi per promuovere messaggi di odio verso i musulmani.

Il problema dei Rohingya e degli islamici in genere non è l’unico esempio di discriminazioni e soprusi nel rapporto tra Bamar-birmani e le altre etnie. Intere popolazioni di minoranza sono perseguitate nei loro stati e villaggi, e apparentemente la Lnd ha fatto ben poco per i diritti umani in regioni come Arakan, Kachin, Shan e recentemente nello Stato dei Karen.

“Il governo della Lnd ha tentato di promuovere la riconciliazione nazionale come hanno fatto i gruppi armati etnici. Tuttavia i militari birmani non vogliono far cessare la guerra civile perché la politica di aggressione serve ai loro interessi come lo sfruttamento delle risorse e il mantenimento del potere”.

Lei ha guidato nel 2007 la Rivoluzione di Zafferano con migliaia di suoi compagni monaci. Come fa oggi il movimento di disobbedienza civile (CDM) protestavate contro i dittatori e chiedevate la liberazione di Suu Kyi. Pensa che quella rivolta sia stata determinante per convincere i militari a iniziare un processo democratico?

“Sì. Dopo di allora c’è stata nel paese e nel mondo molta stampa negativa verso gli abusi dei generali contro attivisti politici, monaci e minoranze etniche. Sono state applicate severe sanzioni e i militari hanno sentito il maggiore peso della condanna globale. Di conseguenza, hanno adottato nuove riforme e la situazione politica è cambiata con l’inizio di un’era di transizione”

Un’era che pero’ sembra cancellata o sospesa. Non c’erano forse già segnali preoccupanti fin dall’inizio?

“Dopo la Rivoluzione di Zafferano sono stato condannato a 68 anni di carcere e torturato in 5 diverse prigioni per un periodo di quattro anni. Venni rilasciato durante l’amnistia di prigionieri nel gennaio 2012, più di un anno dopo la liberazione di Suu Kyi. In seguito ho sofferto diverse malattie fisiche e disturbi di salute mentale, mi hanno negato ogni cura medica e lasciato senza documenti d’identità. Non c’era neanche un monastero disposto ad accogliermi e per paura di rappresaglie del governo sono stato costretto a spogliarmi degli abiti re ligiosi. Poi 18 mesi dopo ho sposato mia moglie Marie e ci siamo trasferiti in Thailandia. Ma non mi sono mai sentito al sicuro da quelle forze oscure che lavorano all’ombra dei regimi militari”.

Dopo la Rivoluzione di Zafferano sono stato condannato a 68 anni di carcere e torturato in 5 diverse prigioni per un periodo di quattro anni. Venni rilasciato durante l’amnistia di prigionieri nel gennaio 2012, più di un anno dopo la liberazione di Suu Kyi.

Perché tornò in Myanmar nel gennaio del 2016?

“Credevo di essere più protetto con il governo della Lnd e volevo richiedere un passaporto per andare in Australia con mia moglie, ma sono stato nuovamente arrestato in un albergo di Mandalay. Dopo 13 udienze di tribunale sono stato giudicato colpevole di immigrazione illegale. Marie è rimasta in Birmania per assistere alle udienze e visitarmi in prigione, e dopo quasi 6 mesi in cella sono stato rilasciato e tornammo in Thailandia. Finalmente a marzo del 2019 mi è stato concesso asilo politico grazie a un programma umanitario australiano e ora vivo a Brisbane con mia moglie. Da allora ho subito 2 operazioni tra cui un serio intervento alla colonna vertebrale”.

Nel libro di memorie “Naraka” scritto con sua moglie ammette che il vero motivo del suo arresto nel 2016 non riguardava la violazione delle leggi sull’immigrazione.

“In effetti un anno prima ero tornato di nascosto a Yangon con un giornalista inglese per prendere parte a degli incontri segreti con altri monaci preoccupati di certi aspetti controversi del processo democratico. Gli agenti dell’intelligence lo hanno saputo e sono dovuto fuggire di nuovo. Sono andato a Myawaddy, che è una zona sotto controllo del KNU (l’organizzazione politica dei Karen con un’ala militare), dove mi sentivo abbastanza al sicuro. Mia moglie non ne ha saputo nulla fino al 2019, quando stava lavorando alle ricerche per il nostro libro e le ho raccontato il vero motivo di quel mio ultimo arresto”.

Mentre era in prigione Suu Kyi l’ha aiutata a essere rilasciato? In fondo si era battuto per la sua stessa causa.

“No, non mi ha mai aiutato. Forse avrebbe potuto, ma non ha mai parlato in mio favore”.

Lei crede comunque che fosse giusta la sua politica di non violenza o Ahimsa, anche quando nel 1990 i militari sciolsero il parlamento come hanno fatto oggi?

“Sì, credo di sì. Ahimsa, verità e satyagraha richiedono molto tempo per essere raggiunte con successo. Non è un compito facile creare la giusta mentalità per una forma di resistenza non violenta da parte di milioni di persone”.

Quindi secondo lei il popolo del Myanmar non era pronto 30 anni fa per una rivolta nemmeno se lo avesse chiesto Daw Suu Kyi?

“Non era pronto perché ben pochi comprendevano fino in fondo i metodi e i principi della resistenza non violenta. Inoltre non esisteva una vera leadership rivoluzionaria”.

Le dispiace di non essere oggi in Myanmar a combattere con gli altri?

“Non veramente. Ho combattuto molto per il mio paese e ora è il momento per me di recuperare la mia salute. Inoltre, se adesso fossi in Birmania mi troverei probabilmente in una cella di prigione. Tuttavia provo grande tristezza per ciò che sta accadendo, ma ho fiducia che la nuova generazione resisterà al regime e continuerà la lotta per la vera democrazia e la libertà di tutto il popolo del Myanmar. Dall’inizio del colpo di Stato sono in contatto regolare con i militanti della disobbedienza civile e i miei ex colleghi monaci. Mia moglie si arrabbia con me a volte perché passo così tanto tempo a parlare con loro per aiutarli a organizzare attività non violente. Ma grazie a questi contatti abbiamo iniziato una forma di protesta diventata celebre. Il giorno dopo il golpe ho postato online un video-messaggio proponendo ai miei compagni di chiedere alla gente chiusa in casa per il coprifuoco di battere su pentole e padelle alle 8 di sera per 15 minuti. E l’iniziativa si è diffusa rapidamente in tutto il paese”.

Fonte: Raimondo Bultrini, MSN notizie,17/02/2021

 

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