Zoom ha ammesso di aver interrotto le riunioni degli attivisti per volere del governo cinese

Un’operazione scientifica di rimozione della memoria. Ogni giorno scegliamo piattaforme tecnologiche per la loro praticità, ma mai ci interroghiamo sulle implicazioni.

 

L’ammissione è arrivata dopo qualche giorno. “Zoom” ha deciso di bloccare gli account degli attivisti cinesi che avevano scelto di commemorare in “call” il trentunesimo anniversario delle proteste di piazza Tienanmen perché lo ha chiesto il Governo cinese. “Ci hanno informato che questa attività è illegale in Cina e ci hanno chiesto di bloccare gli incontri e sospendere gli account”. E la società americana non ha perso tempo. Ha acconsentito alle richieste delle autorità cinesi. All’evento su Zoom avevano preso parte circa 250 persone da tutto il mondo, compresi i genitori di alcune delle vittime, come racconta il South China Morning Post.

Il caso non era isolato. Da quello che leggiamo in una nota i desiderata erano diversi. Zoom spiega che “a maggio e all’inizio di giugno il governo cinese ha informato” la piattaforma riguardo “quattro grandi eventi pubblici di commemorazione del 4 giugno”. Zoom conferma l’intervento per tre dei quattro eventi. Sull’ultimo dice: “Anche se le autorità cinesi ci avevano chiesto di intervenire non siamo andati avanti poiché non c’erano partecipanti della Cina continentale”. Due degli account sospesi sono di Wang Dan e Zhou Fengsuo, leader delle proteste del 1989 che ormai vivono negli Usa. Proprio Zhou Fengsuo dice: “Era la prima volta che si riunivano così tante figure di spicco, direttamente legate al movimento pro-democrazia del 1989. Sono così arrabbiato. Anche in questo Paese, negli Stati Uniti, dobbiamo essere preparati a questo tipo di censura”.

Il caso riporta alla cronaca la discussione su una questione cruciale: ogni giorno scegliamo piattaforme tecnologiche per la loro praticità, o perché semplicemente siamo abituati a usarle, le portiamo in casa nostra, nelle scuole, al lavoro o ovunque ne abbiamo bisogno, ma mai ci interroghiamo su quali siano le implicazioni di questa scelta. Il caso Zoom che “censura” gli accout degli attivisti, e che aiuta il governo cinese in una sorta di operazione di rimozione della memoria delle proteste di piazza Tienanmen, ci racconta ancora una volta la stessa storia. Le multinazionali della Sillicon Valley, le startup del digitale, scelgono in completa autonomia come gestire gli account degli iscritti alla piattaforma, la privacy e la loro sicurezza.

Basti pensare che il consulente per la sicurezza di Zoom, Alex Stamos, ha confermato che la crittografia end-to-end sarà disponibile solo per chi paga. In altre parole chi vuole avere la certezza di comunicazioni sicure e non intercettabili, garantite dal’utilizzo della crittografia end-to-end, che cifra tutti i contenuti ancor prima di inviarli ai server di Zoom, dovrà sottoscrivere un piano a pagamento. Dice l’azienda: “Di sicuro non vogliamo dare questa possibilità agli utenti della versione gratuita, anche perché vogliamo collaborare con l’FBI, con le istituzioni locali, dato che in alcune persone usano Zoom per scopi malevoli”. Non per soldi ma per il desiderio di comunicare con le autorità.

Oggi Zoom, ieri Twitter e Facebook. Neanche due settimane fa Twitter ha “segnalato” due volte il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. La prima volta lo ha fatto definendo “potenzialmente fuorvianti” alcuni tweet su possibili brogli dovuti al voto per posta negli Usa. La seconda ha oscurato parte del contenuto dell’intervento di Trump sulla morte di George Floyd per incitamento alla violenza. Facebook invece il post di Trump lo ha lasciato, Zuckerberg, in un lungo post, ha confermato l’impegno sulla libera espressione pur dichiarandosi in “forte disaccordo su come il presidente ha parlato di questa vicenda”. Zuck non ci ha ripensato nonostante lo sciopero virtuale dei suoi dipendenti e il disaccordo dei suoi strettissimi collaboratori. Il numero uno di Facebook è andato avanti in nome della libertà di espressione.

Zuckeberg che sceglie di difendere a tutti i costi la libertà di espressione e di limitarla solo nel caso delle Fake News, Twitter che si comporta come un editore, Zoom che censura gli account americani che commemorano le proteste di piazza Tienanmen in Cina sono tutte facce della stessa medaglia. Ceo e società che cercano di fare i propri interessi e difendere le proprie aziende senza troppi vincoli. Chi fa le regole, fa il gioco. Nella società del Coronavirus occorre fare una riflessione, in un mondo dove la distanza sociale è necessaria e nel quale solo la tecnologia ci può avvicinare, servono leggi e regole chiare che impediscano alle società tecnologiche di essere arbitri della partita a cui giocano.

Fonte: Huffington Post,12/06/2020

Notizia in inglese:

Zoom admits cutting off activists’ accounts in obedience to China

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